di Alessia Scala
Il teatro e la danza da sempre parlano dell’essenza, dell’incontro, dello scambio emotivo con un pubblico reale. Drammaturgia, che deriva dal greco antico, racchiude in sé il termine agire. Nella fase che stiamo vivendo, c’è un mutamento e si altera anche il nostro sguardo. Infatti, in questo intervallo sospeso, culmine di un’erranza di processi di pensiero, stato entropico in cui fluttuiamo, esistere, non prescinde dall’essere in uno spazio virtuale; un iperuranio in cui la parola più usata, risonante come un mantra, è “connessione” che, seppur a distanza, incita a riflettere più profondamente sul suo vero significato di “essere comunità”. Le pluralità, le relazioni, l’interdipendenza, le reti tra le persone, le molteplicità collidono con le variabili e incertezze del momento storico. Reinventare il presente, riformulare idee e professioni ma con un sotto testo e uno sfondo: l’impossibilità di esserci come prima. Un’ assenza, dunque, che diviene presenza dei corpi attraverso filtri e schermi; “attraverso” non come attraversamento di luoghi fisici ma come un limen, una soglia.
Dirada l’esercizio della propria arte poiché non ci sono gli spazi che la connotano, viene meno il rito, il suo potenziale trasformativo e la catarsi; si fa liquido il racconto del corpo in azione, un’azione che non è più immediata ma mediata da questo tempo dal carattere limbico, così lungo da avere un peso specifico, incidere sulla nostra coscienza individuale e collettiva. Il corpo, allora, trascende la scena e si porta nello spazio pubblico, nel liminoide, per manifestare dissenso o semplicemente per camminare insieme e si fa corpo collettivo, per una drammaturgia del gesto come atto politico e di resistenza. Prende corpo una scrittura collaborativa nei Manifesti di artiste e artisti dei vari coordinamenti per lo spettacolo, che fanno riecheggiare note di Dadaismo e Futurismo. Il corpo intrappolato in una stanza, non una “dance for camera” ma un corpo indotto a rivedere il suo posizionamento, la sua performance, scavando un’apertura, un varco, ridisegnando traiettorie di senso. Così nascono le danze “home made”, ci si scambia video-stralci dei propri movimenti, collage di danze, in cui il com-porre diventa cura. Talks, video conferenze, dibattiti sulla danza, contromisure di sopravvivenza, per una drammaturgia totale che inverte e ribalta, definitivamente, i paradigmi tradizionali e l’idea di dramaturg. Pensare, scrivere, fare insieme, per sottolineare un’idea di trasversalità, transculturalità, convivenza di differenze, punti di vista, visioni. Imbastiture e intrecci a più voci, che cercano integrazione, dialogo, ora più che mai, per una drammaturgia in cui il prodotto finale non è fondante quanto la pratica, essenzialmente dialogica, che assume quasi un valore pedagogico, innesca nuovi processi e percorsi e si fa drammaturgia dell’azione collettiva. Parlare di drammaturgia della danza, oggi, vuol dire ripensarla, declinarla a cominciare dal territorio instabile ma comune in cui ci ritroviamo, per amplificarne e diramarne il concetto stesso, fino ad una dissolvenza dei confini tra le categorie disciplinari e i ruoli. Incorporiamo il cambiamento e laddove l’evento teatrale manca, restano i corpi e la loro urgenza di narrazione. Non esiste coreografia senza scrittura, senza partitura, ma neanche un corpo senza una storia e riscriviamo il nostro essere al mondo a partire da dove siamo, da ciò che è impresso sulla nostra pelle, come traccia. Questo può essere il tempo dell’immaginazione, della progettazione, un luogo-non luogo, un’utopia, forse.
Alessia Scala
Victor Turner: Antropologia della Performance
Problemi di drammaturgia della danza (saggio): Alessandro Pontremoli
Drammaturgia della danza. Percorsi coreografici del secondo Novecento, a cura di Alessandro Pontremoli
Il dramaturg nella danza. Funzioni, prospettive e ricerca
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Indizi sul corpo: Jean-Luc Nancy